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BARRIERE

“C'è chi crea barriere per tenere le persone fuori e chi per tenere le persone dentro. 

Tuo padre voleva che tu fossi tutto ciò che lui non era e al tempo stesso voleva che tu fossi tutto ciò che era lui, non so se aveva ragione o torto; ma so per certo che mirava più a fare del bene che del male. 

Non passare la vita a preoccuparti se a qualcuno piaci oppure no, faresti meglio ad assicurarti che ti trattino come meriti.

Se fai il giocoliere con troppe palle, prima o poi una ti cade, è questione di buon senso.

Tratto dal film cinese: “Barriere” di Denzel Washington. 

Siamo tutti convinti che le barriere siano un confine che nasce con i rapporti con l’esterno, nei confronti dell’altro. Nel film di Denzel Washigton, le barriere hanno un’altra origine. Nascono dai nostri limiti interiori e molto spesso in nome della volontà di fare del bene e non del male. Non c’è la volontà di una separazione, ma l’obiettivo è quello di una crescita. 

La cultura cinese rifiuta in sé la concorrenza, vista come la strada che mette in contrapposizione le persone e nega i benefici della condivisione. E’ qualcosa di più di uno scontro economico quello in atto. E anche una visione diversa dell’economia. Non è ero che i tutti cinesi, vivono la proprietà intellettuale come un bene da difendere.  Molto spesso la proprietà intellettuale viene concepita come un bene che va condiviso per accelerare la crescita di tutti. Certo, in tutto ciò, si nasconde  molta ipocrisia.

Dall’altra parte del mondo, dal punto di vista degli Usa, la produzione a basso costo, indifferente agli standard minimi sociali, alla difesa ambientali, ai diritti intellettuali è un attacco alla libera concorrenza, intesa come una gara ad armi pari dove il migliore può emergere.

Estranea a questa battaglia, o meglio ancora in un assordante silenzio è l’Europa.

Sia negli Stati Uniti che nel Vecchio Continente si parla già di China Effect. La sensibilità politica al richiamo del populismo, forte nelle aree colpite più negativamente dalla globalizzazione, sotto forma di ingresso della concorrenza dei prodotti della Repubblica popolare. Il China Effect è dunque il livello di insicurezza economica che esso crea, diverso in base al distretto e alle specializzazioni produttive.

Forse, ora, diventa più chiaro come le barriere che sta sollevando Donald Trump e la risposta cinese nascono dall’interno non dall’esterno. Sono sempre esistite, la globalizzazione le ha solo messe in evidenza, perché ne ha evidenziato il contrasto.  L’Europa finora tace perché la più grande economia dell’area, la Germania, è un’esportatrice netta e non avrebbe molto da guadagnare affiancando gli Usa.

Il paradosso di questa, per ora virtuale guerra di dazi, è che se si pensa al +130% in Borsa di Boeing da inizio novembre 2016 e al +71% di Caterpillar contro il 24% dell’S&P500 si direbbe che gli effetti della politica doganale di Trump sono del tutto marginali sulla Borsa. “Trump ha dato” con il rally durato 15 mesi e “Trump sta togliendo”, ma la corsa di molte società Usa è in gran parte sostenuta dalla presenza in Cina. Difficile pensare che i dazi ne distruggano l’intera performance.

Per il primo trimestre 2018 le attese sono per utili dell’S&P500 molto buoni, o meglio, i migliori da 7 anni, in crescita del 18,4% e di oltre il 19% per tutto il 2018. Assai meno entusiasmanti i numeri per l’indice Stoxx 600 europeo con utili previsti in aumento del 3,4% nel primo trimestre e dell’8% nell’intero anno. 

Se guardiamo al mondo intero, secondo il Fondo monetario internazionale la crescita asiatica nel 2017 si è attestata al 5,6% si manterrà al 5,6% quest’anno con Cina rispettivamente al 6,8% e 6,5% l’anno successivo e India +6,7% e +7,4% a guidare la corsa. Il Pil Usa, secondo la Fed dovrebbe crescere quest’anno del 2,8% e rallentare al 2,4% l’anno prossimo.

Ora, al di là delle nostre barriere mentali e culturali, bisogna chiedersi se i dazi sono la vera ragione di uno storno delle Borse e se, è più facile lasciarsi andare alla paura di un un mondo in rallentamento o invece osservare la crescita.

E’ utile ricordare che i mercati hanno le loro valvole di sfogo e ammortamenti automatici. Un aumento dei dazi potrebbe tradursi in una variazione dei tassi di cambi in grado di riposizionare la competitività dei prodotti nazionali. Così come un miglioramento della struttura dei costi delle società più colpite o una variazione dell’offerta dei prodotti. Di fronte ai dazi dobbiamo cercare di limitare le nostre barriere mentali: smettere di credere che la crescita cinese sia basata solo su export di basso costo, che i mercati seguono ogni parola di Trump e concentrarci sui grandi cambiamenti in atto. Cina, India continuano a correre. Bene l’economia Usa, l’Europa  cresce ma non in maniera uniforme. Tutto il resto sono le vere barriere.

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