IL POSTINO SUONA SEMPRE DUE VOLTE
Frank: «È come quando stai aspettando una lettera che non vedi l'ora di ricevere, e tu fai su e giù davanti alla porta per paura di non sentire il postino. Non tieni conto che il postino suona sempre due volte»
Citazione tratta da Il postino suona sempre due volte, regia di Tay Garnett.
È un po’ come nella situazione descritta da Frank: il governo italiano si aspettava una lettera. Anche se è difficile pensare che non vedesse l’ora di riceverla. Parliamo infatti della missiva dell’Unione Europea in cui si chiedono chiarimenti a Roma relativamente al debito pubblico, perché a Bruxelles sembrano insufficienti i passi fatti finora per contenerlo. La notizia ha messo in agitazione Piazza Affari e dopo l’arrivo della lettera, il 29 maggio, lo spread tra Btp e Bund è andato oltre quota 280 punti base. I riflettori sono adesso puntati sul 5 giugno, quando arriveranno le pagelle della Commissione sui Paesi dell’Unione e anche, per l'Italia e altri quattro, il rapporto sul debito. Il rischio è di incorrere nella procedura d’infrazione: c’è da sperare che il postino non suoni due volte.
Non bastasse, per il governo è arrivata anche una doccia fredda dall’Istat. L’istituto ha infatti rivisto al ribasso i risultati di crescita del Pil: nel primo trimestre 2019 è salito dello 0,1% sui tre mesi precedenti e non dello 0,2%. Mentre è calato dello 0,1% su base annua, contro l’aumento dello 0,1% indicato in precedenza.
Un segnale positivo arriva dall’indice manifatturiero italiano: lo scorso mese è aumentato a 49,7 da 49,1 di aprile, la migliore lettura in otto mesi e leggermente inferiore a 50, il livello che separa una fase di espansione da una di contrazione. Per quanto riguarda l’Eurozona, a maggio il dato si è fermato a 47,7, confermando la stima preliminare, in calo dal 47,9 del mese precedente. I principali listini europei hanno chiuso ieri in leggero rialzo dopo una giornata all’insegna della volatilità.
Facendo uno zoom sul Regno Unito, si avvicina il giorno in cui la premier Theresa May presenterà formalmente le proprie dimissioni (venerdì 7 giugno). Il favorito alla successione, Boris Johnson, ha lanciato la sua campagna elettorale promettendo che la Brexit avverrà il 31 ottobre, con o senza accordo con Bruxelles.
Sul fronte della guerra commerciale tra Usa e Cina, lo scontro entra nel vivo. Sono scattati gli aumenti tariffari annunciati da Pechino, dal 10% al 25%, su 60 miliardi di dollari di merci a stelle e strisce, mentre negli States sono entrate in vigore le tariffe al 25% su 200 miliardi di dollari di prodotti made in China. Il Paese asiatico ha inoltre inviato un messaggio chiaro a Washington, non via posta come nel film di Tay Garnett, ma attraverso la pubblicazione di un libro bianco sul contenzioso. Nel rapporto, presentato in otto lingue, si legge che la guerra commerciale non ha «fatto di nuovo grande l’America», ricalcando lo slogan elettorale di Donald Trump. E ancora: «I dazi Usa non hanno dato slancio all'economia. Invece, l'hanno seriamente danneggiata». Negli Stati Uniti, infatti, sono saliti «i costi della produzione e i prezzi al consumo minacciando la crescita dell'economia». La Cina, tuttavia, ha sottolineato il proprio desiderio di trovare «una soluzione attraverso il dialogo, ma non accetterà compromessi sui principi primari». I mercati attendono ora ulteriori sviluppi che portino, contrariamente a quanto successo nelle ultime settimane, a un riavvicinamento tra le due superpotenze. Secondo alcuni osservatori è la probabile che il presidente americano decida di trovare un accordo con la Cina in vista delle elezioni del prossimo anno. Nel frattempo, Donald Trump alza il tiro anche contro il Messico, accusato di non fermare i migranti diretti negli Stati Uniti. A partire dal 10 giugno saranno imposti dazi del 5% sui prodotti del Paese latino-americano importati negli States. E se il Messico non agirà per bloccare i flussi, le tariffe saliranno al 10% in luglio, al 15% in agosto, al 20% in settembre e al 25% in ottobre.
Dal punto di vista macroeconomico, nella seconda lettura preliminare, il Pil americano è cresciuto nel primo trimestre 2019 del 3,1%, leggermente meno del 3,2% inizialmente previsto ma sopra le attese degli analisti che stimavano un +3%. L’indice Pmi manifatturiero americano, invece, a maggio è scivolato sui minimi dal 2009 (50,5 punti).