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LA DOLCE VITA

“Giornalista: How do you sleep? With pijamas or nightgown?

Sylvia: Neither! I sleep only in two drops of French perfume!

Giornalista: Signo', ma nella vita che vi piace di più?

Sylvia: I like lots of things. But there are three things I like most. Love, love and love.

Marcello: Fammi venire più spesso qui da te.

Steiner: Te l'ho detto, vieni quando vuoi. Cosa c'è, Marcello?

Marcello: Dovrei cambiare ambiente! Dovrei cambiare tante cose! La tua casa è un vero rifugio, sai? I tuoi figli, tua moglie, i tuoi libri, i tuoi amici straordinari... Io sto perdendo i miei giorni, non combinerò più niente! Una volta avevo delle ambizioni ma forse sto perdendo tutto, dimenticando tutto.

Steiner: Non credere che la salvezza sia chiudersi in casa. Non fare come me, Marcello! Io sono troppo serio per essere un dilettante, ma non abbastanza per diventare un professionista. Ecco, è meglio la vita più miserabile, credimi, che l'esistenza protetta da una società organizzata in cui tutto sia previsto, tutto perfetto. Marcello, io posso soltanto esserti amico e quindi mi è impossibile consigliarti.

Tratto da  “La dolce vita” di Federico Fellini. 

La dolce vita sta per finire? Non bastavano le Faang e nemmeno il crollo dell’oil. Sui mercati si sta insinuando un sospetto, uno di quelli subdoli, perchè ha la capacità di autoavverarsi in quanto gran parte del credito si regge sulla fiducia. Il timore è che il rialzo dei tassi in Usa stia per scoperchiare alcune situazioni di stress, soprattutto sul fronte dei debiti corporate.

Il percorso logico è semplice: negli anni con la liquidità facile e i tassi bassi le aziende si sono indebitate, forse un po’ più del dovuto, ora che i tassi salgono quel debito rischia di rivelarsi un macigno.

Prima di terrorizzare i mercati, i sospetti, hanno bisogno di un caso, forse una cavia. E il corporate Usa gliene sta servendo una su un piatto d’argento: General Electric. La conglomerata americana che dall’energia e industria, qualche hanno fa è sbarcata alla finanza (comparto tra i più in difficoltà) perde il 56% da inizio anno. Il gruppo incarna per eccellenza la dolce vita delle aziende americane degli ultimi anni: ricorso al debito e boom di buyback, ovvero l’acquisto di azioni proprie (4.644 miliardi di dollari dal 2009 a oggi in Usa).

Da sola General Electric conta un debito pari a 115 miliardi di dollari. Il timore è che in caso di declassamento a junk rischia di gonfiare a dismisura i 1.600 miliardi di debito high yield in circolazione, gran parte raccolto negli etf. 

Ge, sarebbe solo la punta dell’Iceberg: circa la metà dei 5mila miliardi di obbligazioni ad alto rating hanno in realtà valutazioni nel campo della «BBB». Dunque sono le prime che, se venissero declassate, cadrebbero nel campo della «spazzatura». Col rischio di destabilizzare un mercato già fortemente illiquido.

Le accuse verso il corporate Usa sarebbero quella di aver aumentato il debito per poi utilizzarlo per riacquistare azioni proprie, far aumentare gli utili per azione, con premi per i manager. Un copione già visto. La domanda ora è cosa ci sia di vero in tutti questi timori e se hanno davvero un potere esplosivo.

Pensare che il corporate Usa, sia stato preso alla sprovvista dall’aumento dei tassi è come dire che il contadino non sappia che dopo l’estate arriva l’autunno. Il rapporto medio tra debito ed Ebitda delle aziende americane, che nel 2011 viaggiava intorno a 2,6 volte l’Ebitda, oggi si attesta a quota 3,4, poco sotto la prima soglia di guardia indicata a 3,5 volte. Non aver approfittato in passato dei tassi bassi sarebbe stato poco efficiente. Ora però la dolce vita è finita. Ci saranno società in grado di reagire in fretta e altre più lentamente.

Questo movimento riporta in luce un altro fattore, senza la possibilità di indebitarsi come prima, caleranno gli investimenti e dunque la crescita. Il resto per ora sono solo speculazioni su cui bisogna vigilare, senza però perdere la testa.

Un altro fattore da monitorare è l’andamento del greggio. La violenza del movimento di queste ultime settimane ha prodotto la sua prima illustre vittima. La società di intermediazione Optionsellers, molto attiva nei contratti "futures" sulle commodity come petrolio e gas ha dichiarato fallimento. Il finanziere, James Cordier, noto anche come autore di una "Guida alla gestione delle opzioni", si è scusato in un video caricato su YouTube per aver trascinato alla rovina i suoi clienti. L’improvvisa inversione di rotta del petrolio ha tradito anche Pierre Andurand, uno dei pochi gestori di hedge fund che non solo erano sopravvissuti, ma avevano prosperato persino nel periodo più buio della crisi del settore. Il suo fondo – l’Andurand Commodities Funds, con oltre un miliardo di dollari in gestione – ha perso il 20,9% a ottobre.

I mercati però sono abituati a districarsi tra visioni fosche (poche si realizzano) e ottimismo eccessivo. Per restare con i piedi per terra, gli investitori seguiranno da vicino l’incontro al G20 in Argentina, tra Donald Trump e Xi Jinping. Da quel fronte è più facile che arrivino buone notizie in grado di stemperare la situazione.

La dolce vita scricchiola. Ma il lato positivo è che se bond e oil diventano un problema, l’inflazione non lo sarà più e le banche centrali potranno applicare una politica monetaria meno restrittiva. 

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